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HEART OF GOLD

  • Immagine del redattore: Irene Muraca
    Irene Muraca
  • 24 mar 2021
  • Tempo di lettura: 4 min

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prima

me la sono presa con le mie parole

i non posso. non voglio. non basto.

le ho messe in fila e fucilate

poi sono passata ai pensieri

invisibili e onnipresenti

non c'era tempo per radunarli uno per uno

dovevo dilavarli

ho tessuto un lenzuolo con i miei capelli

l'ho immerso in un bacile d'acqua alla menta e al limone

l'ho portato in bocca mentre scalavo

la mia treccia fino alla nuca

in ginocchio ho cominciato a ripulirmi la mente

ci ho messo ventun giorni

avevo le ginocchia ammaccate ma

non m'importava

il fiato ai polmoni non mi era stato dato

perché io lo soffocassi

avrei strofinato via dall'osso l'autoodio

fino a esporre l'amore


autoamore - rupi kaur


Carissimi lettori,

benvenuti nella mia rubrica di poesia, Heart Of Gold. Sto cercando le parole perfette per presentarvi Rupi Kaur e la meravigliosa raccolta da cui è tratta Autoamore, The Sun And Her Flowers, ma non riesco a trovarle. Quando una poetessa sa arrivare dritta al cuore, le uniche parole di cui si ha davvero bisogno sono le sue. E Rupi Kaur arriva sempre dritta al cuore. Ogni volta che le emozioni prendono il sopravvento su di me mi ritrovo a ripetere a memoria nella mente una sua frase, una parola, una intera poesia, e parte della mia sofferenza scivola via con i suoi versi. Sussurrati, gridati, raccontati. É come se la sua voce potesse fondersi con la mia, e dire con coraggio ciò che io nascondo con paura. L'autoodio, per esempio. Tutti quei non posso, non voglio, non basto con cui diventiamo fantasmi di noi stessi. Con cui sorridiamo nel vederci diventare trasparenti allo sguardo degli altri. Abbattiamo il nostro nemico inconsapevoli che il nemico che abbiamo offeso, ferito, stremato, e ucciso siamo noi. L'autoodio ci fa sentire soli contro il mondo, sbagliati, fuori posto, arrabbiati, incompresi. Si nutre dei dolori del passato e li ripropone a tradimento, aspettando il momento in cui si è più felici per farci sentire in dubbio, esposti ad un possibile nuovo dolore. E quella possibilità basta per rinunciare, per credere che sia più giusto allontanarci da ciò che ci potrebbe rendere più felici che mai solo perché potrebbe anche farci soffrire. Più voli alto nel cielo più ti fai male quando cadi: l'autoodio aspetta che tu sia più in alto che mai per saperti senza possibilità di salvezza quando ti farà precipitare. Autoodio è essere felici e pensare di non meritarlo. É conoscere persone che vogliono capirti e isolarti da loro perché hai paura che se ti capiranno davvero, allora non resteranno. Tutti noi dovremmo chiederci: perché?

Perché in passato molti se ne sono andati, spezzandomi il cuore.

Se avessimo il coraggio di dirlo ad alta voce, questa sarebbe la nostra risposta.

Ma se fossimo abbastanza forti da gettarci nelle zone più oscure della nostra anima, quelle che ci spaventano, che sembrano fuori controllo; quelle tenute segrete, taciute, nascoste, allora potremo riscoprirci sinceri, e la nostra risposta sarebbe resa completa dalla verità.


Perché?


Perché in passato molti se ne sono andati, spezzandomi il cuore. Poi me ne sono andata anche io, ho voltato le spalle a me stessa come hanno fatto loro, e ho distrutto la mia luce per essere almeno accolta dalla loro ombra.


É questa l'ingiustizia più grande che commettiamo contro noi stessi. Lasciare che la vita scorra tra le nostre dita perché si ha paura di stringerla per poi sentirla scivolare via. E nel frattempo scivola via. Perché ci si incolpa di un passato di ferite di cui non siamo responsabili. Perché ci sentiamo colpevoli di esserci condannati ad un autoodio da cui non sappiamo liberarci. E forse siamo colpevoli, lo siamo davvero, perché la mano che ci ha inferto le ferite che adesso devono guarire è proprio la nostra. La comprensione di cui abbiamo bisogno ma che ci manca è la nostra. La mano che desideriamo stringere ma non riusciamo a raggiungere è la nostra.


Come possiamo ritrovarci, adesso? Vorrei potesse esistere un ufficio 'persone smarrite', cercare il mio nome e abbracciarmi per tutte le volte che non mi sono capita, che mi sono incolpata, abbandonata. Forse non merito questo abbraccio perché non ho ancora piena fiducia in me stessa, non riesco ancora a perdonarmi per gli sbagli che ho fatto e non ho smesso di sabotarmi. Non ho alcuna intenzione, però, di continuare ad essere il mio stesso demone. Andrò a conquistarmi quell'abbraccio con orgoglio, penserò ai sorrisi delle persone che amo e non mi fermerò fino a che non avrò illuminato le parti di me che avevo destinato al buio.


Siamo luce e ombra, e l'incanto che siamo brilla ancora di più grazie alle nostre oscurità. É arrivato il momento di sconfiggere l'autoodio con l'unica forza che può eclissarlo: l'autoamore.


Come si evince dai versi di Rupi Kaur, impetuosi nella loro sincerità, non si guarisce dall'autoodio rapidamente. Ventun giorni è quanto ci è voluto alla nostra poetessa straordinaria per rialzarsi dalla nuda terra e sorgere come nuova fenice dalle ceneri di anni trascorsi a non capirsi. Criticarsi. Implodere. Ventun giorni, ma possono essere quaranta, cento, mille. Non importa quanto tempo ci vuole, c'è un unico numero che conta realmente: uno.


Giorno uno: scelgo me stessa. Giorno uno: scelgo di amarmi. Giorno uno: scelgo di restare al mio fianco. Giorno uno: scelgo di far vincere la mia luce su tutta questa oscurità.


Giorno uno: strofinerò via dall'osso l'autoodio, fino a esporre l'amore.


Uno.


Irene Muraca

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